John SCOFIELD - "Bump" (Verve) - 54 minuti
Renato Sellani - "Chapter two american mood ..." - Philology W 152.2
Mercedes SOSA - "Misa criolla" - Decca CD 467 095-2 - 41’49"
Bobo Stenson Trio - "Serenity" - ECM 1740/41 543 611-2
Stockhausen-Handersen-Heral-Rypdal - "Karta" - ECM 1704 543 035 -
Steve SWALLOW - "Always Pack Your Uniform On Top" - 47 minuti
Koko TAYLOR - "Royal blu" - Alligator ALCD 4873
Bruno TOMMASO - "Oltre Napoli, la Notte", Dischi Della Quercia 128026-2, 57'03"
Tiziano TONONI - "We did it, We did it!"
Trovesi - Coscia - "In cerca di cibo" - ECM 1703 543 034-2
Gianluigi TROVESI Nonet - "Round About A Midsummer’s Dream" (Enja). 64'
Glauco Venier Trio - "Un anno" - Equipe EQ00J010
Back
- Pag.
1
2
3
4
John SCOFIELD - "Bump" (Verve). 54 minuti. L'album del chitarrista si configura come un prodotto di alta tecnologia: oltre alla parte audio ci sono, nel formato Cd-ROM, foto e filmati video della seduta di registrazione. La musica, dal canto suo, celebra il ritorno di Scofield - dopo una parentesi acustica - ad un linguaggio che poggia le sue fondamenta sul suono elettrico/elettronico, sulla distorsione, sulla ritmica funky corposa (Three Sisters), sulla semplicità armonica del rock (Chichon, Drop and Roll) conniugate all'avanzata elaborazione solistica. Il chitarrista è attorniato da giovani musicisti (Mark De Gli Antoni ai campionamenti; David Livolsi, Tony Sherr, Chris Wood al contrabbasso o al basso elettrico; Eric Kalb e Kenny Wollesen, batteria; Johnny Durkin e Johnny Almendra alle percussioni) che utilizza soprattutto in quintetto e quartetto. Resi unitari dal beat marcato e dalla dimensione elettrica, i brani illustrano paesaggi sonori mutevoli: ora si flirta con l'acid jazz (Kelpers), ora si insiste sull'iterazione delle cellule tematiche con mimime variazioni stratificate (Beep Beep, Fez), ora si gioca con il ritorno dello swing che negli Usa sta furoreggiando di nuovo (Swinganova), ora si proietta ma musica in una dimensione siderale, verso le stelle (We Are Not Alone). Il repertorio di Bump, proposto dal vivo durante il tour primaverile del quartetto di Scofield, è apparso addirittura migliore, grazie anche alla presenza di Ben Perowski alla batteria.
Renato Sellani - "Chapter two american mood ..." - Philology W 152.2 Se decidete di ascoltare questo cd, preparatevi ad una solenne scorpacciata di emozioni. Perché qui ci sono canzoni meravigliose di varie epoche, e c’è un personaggio che le conosce come pochi. Le conosce al punto da averle ormai fatte sue, e può permettersi di manipolarle profondamente, mantenendone lo spirito, ma traendone sfaccettature inusitate. “A Child Is Born”, “I’ve Got You Under My Skin”, “Alfie”, “I Remember Clifford”, “The Man I Love”: sono solo alcuni degli episodi affrontati in completa solitudine al pianoforte da Sellani (Senigallia, classe 1927), che completa la selezione con quattro brani in duo (“Laura” con Phil Woods, “Old Folks” con Massimo Moriconi, “Come Rain Or Come Shine” con Tiziana Ghiglioni, “Louise” con Lee Konitz”). La poetica di Sellani è fortemente personale, con una evidente predilezione per i toni sfumati, le pause cariche di espressione, il gioco di contrappunto fluido e “morbido” tra le due mani: “…
Mercedes SOSA - "Misa criolla" - Decca CD 467 095-2 - 41’49". Ecco un album, che incontrerà sicuramente i favori di tutti i pubblici appassionati di musica afro-americana. La “Misa Criolla” composta nel 1963 è oramai considerata un best-seller in quanto nel mondo ne sono state vendute oltre 3 milioni di copie nella storica versione di José Carreras.E dobbiamo dire che una tantum il giudizio del pubblico ben si accompagna alla validità dell’opera in quanto la composizione di Ariel Ramirez può davvero definirsi , nel suo genere, una delle partiture più importanti scritte in questo secolo. Se alla valenza intrinseca della musica si aggiunge un’interpretazione di grande spessore come questa di Mercede Sosa si avrà un’idea ben chiara di cosa si ascolta in questo CD. Dando così per scontato che tutti conosciamo la “Misa Criolla” vale la pena spendere qualche parola su Mercedes Sosa. Nata a San Miguel de Tucumàn il 9 luglio del 1935, Mercedes giustamente considerata “La voce dell’America Latina” , fino a qualche anno fa si era dedicata soprattutto alla proposizione di un repertorio legato alle tradizioni popolari. Adesso sta cambiando strada per cimentarsi con pagine sicuramente più impegnative. La sfida è vinta senza alcuna apparente difficoltà: la voce della Sosa sembra fondersi completamente nelle pieghe della musica di Ramirez che grazie alla sua interpretazione vibrano di nuova e più intensa emotività.Ogni angolo, ogni aspetto, ogni sfumatura delle pagine di Ramirez vengono lumeggiati alla luce di una sensibilità davvero ineguagliabile. E le stesse considerazioni valgono per l’altro lavoro che completa l’album, “Navidad Nuestra” sempre di Ramirez.
Bobo Stenson Trio - "Serenity" - ECM 1740/41 543 611-2 Il sodalizio tra il pianista Bobo Stenson e il batterista Jon Christensen è uno dei più longevi e fruttuosi della vicenda jazzistica europea: si conobbero alla fine degli anni ’60, e da allora hanno inanellato innumerevoli imprese di rilievo, partecipando insieme, tra l’altro, ad alcune delle prove discografiche più importanti di Jan Garbarek e Terje Rypdal, ed a titoli recenti di Tomasz Stanko e Charles Lloyd. Il tutto, ovviamente, per i tipi della ECM, che ha anche pubblicato le due precedenti opere del trio completato dal contrabbassista Anders Jormin, “Reflections” del ’93 e “War Orphans” del ’97. Opere già eccellenti, che ora trovano un’ulteriore, ponderosa (oltre 90 minuti) conferma in questo doppio cd registrato nell’aprile del ’99. Il repertorio è articolatissimo, accostando il materiale originale composto dai tre musicisti ad una serie di “cover” che spazia ambiziosamente da Wayne Shorter ad Hanns Eisler, da Alban Berg a Charles Ives, dal folk svedese a quello cubano. Il tutto passa ovviamente attraverso il filtro poetico austero e pregnante di Stenson e compagni…
Stockhausen-Handersen-Heral-Rypdal - "Karta" - ECM 1704 543 035 -2 “Avevamo del materiale preparato, che Arild e io avevamo scritto - racconta il trombettista Markus Stockhausen - e alla fine ne abbiamo usato pochissimo. All’inizio della session ho detto ‘Prima di cominciare a lavorare sui pezzi suoniamo’, ed è quello che abbiamo fatto. Abbiamo improvvisato per un’ora e mezza liberamente…” Il risultato? Solo quattro degli undici brani contenuti in “Karta” fanno parte del materiale preparato in anticipo. Gli altri sette non sono che porzioni estratte da quell’improvvisazione. Ecco come vanno talvolta le cose, ancor oggi, nell’epoca dei computer e delle programmazioni. E stavolta sono andate particolarmente bene, perché nei trentanove minuti complessivi d’improvvisazioni selezionati, i quattro procedono come “treni”. Oltre a Stockhausen (figlio, e quindi non degenere, del grande Karlheinz) e Terje Rypdal, anche il percussionista francese Patrice Héral e il contrabbassista Arild Andersen usano dei dispositivi elettronici, ma sempre con acume. La musica che si ascolta (anche nei quattro brani “composti”) è fresca, a tratti sorprendente, sempre coinvolgente.
Steve SWALLOW - "Always Pack Your Uniform On Top" (Xtra WATT). 47 minuti. Aprile 1999, un quintetto guidato dal bassista e compositore Stewe Swallow suona sulla pedana del famoso club londinese Ronnie Scott. L'esibizione, come spesso accade, si trasforma in un album, ricco della dimensione del concerto, della presenza del pubblico, dell'imprevisto e dell'improvvisazione, di quella concezione vissuta e transeunte del tempo tipica del jazz. Swallow ha accanto a sé vecchi e nuovi collaboratori. Alla chitarra c'è Mick Goodrick, musicista eccellente e didatta quotato che ha ispirato numerosi chitarristi odierni; la batteria, in simbiosi con il basso, è affidata all'esperto Adam Nussbaum; ai fiati due musicisti più giovani ma di sicure qualità come il tenorista Chris Potter (collaboratore anche di Dave Douglas e leader in proprio) ed il trombettista Barry Ries. Le sei composizioni sono tutte di Swallow e tratteggiano il raffinato mondo espressivo del musicista, che ha attraversato da protagonista molte stagioni del jazz. Preziose le linee melodiche di Bend Over Backward e La Nostalgie De La Boue, pezzo che alterna un languido incedere a crescendo ritmici. Modern mainstream, con il suo tempo sostenuto ed il tema esposto all''unisono dai fiati, è Dog With A Bone. In Misery Loves Company la lunga e fluente linea melodica attraversa due scansioni ritmiche diverse, con un effetto complessivo notevole; il basso e la chitarra sono, invece, in pieno risalto in Reinventing The Wheel. Un riuscito autoritratto in Cd per un musicista in piena attività anche come produttore discografico (la XtraWATT appartiene a Swallow e a Carla Bley). Nel booklet sono riprodotti gli spartiti dei diversi brani.
Koko TAYLOR - "Royal blu" - Alligator ALCD 4873 Può accadere che un album non sia eccezionale ma che, nonostante ciò, l'artefice principale ne esca egualmente bene. E' questo il caso di "Royal blu" : Koko Taylor dimostra ancora una volta le sue doti vocali e quell'energia espressiva che da sempre costituisce uno dei tratti caratterizzanti la sua cifra stilistica. In questo album la Taylor evidenzia soprattutto questa sua peculiarità con una voce leggermente più rauca del solito e un'aggressività che non conosce momenti di stanca, nel tentativo di trascinare gli occasionali compagni di avventura non sempre all'altezza della sitauazione. Così le chitarre di Criss Johnson e Kenny Wayne Sheperd troppo spesso fanno virare le atmosfere dei brani verso un rock blues non entusiasmante così come non sempre pertinente appare il drumming di Kriss T. Johnson. Di conseguenza i momenti davvero felici non sono molti : piuttosto banali e rutinari il duetto con B. B. King ("Blues hotel") e le interpretazioni di classici come "Hittin' on me" e "But on the other hand" , le cose migliori si ascoltano in "The man next door" in cui la cantante viene ottimamente coadiuvata dal chitarrista Keb' Mo' in un'atmosfera più raccolta e intimista. Gerlando Gatto
Bruno TOMMASO - "Oltre Napoli, la Notte", Dischi Della Quercia 128026-2, 57'03". Dopo un lungo ed ingiustificato digiuno discografico, il contrabbasista, compositore ed arrangiatore Bruno Tommaso torna a pubblicare un Cd. Il progetto di rilettura e rivisitazione della musica napoletana dal Settecento ad oggi gli era stato affidato dall’Associazione Costa della Forma per il festival “Along Came Jazz”, edizione 1996. Dopo varie vicissitudini, gli undici brani sono stati registrati nello Studio A del Centro di Produzione Rai di via Asiago in Roma. Nonostante il passar del tempo, gli arrangiamenti di Tommaso e i brani originali (l’inquietante “Arcana promessa”, il misterioso e mediterraneo “Palermo-Napoli, sola andata”) non hanno perso in efficacia e smalto e sono stati rieseguiti nell’ottobre 2000 a Roma per il venticinquennale della Scuola Popolare di Musica di Testaccio. A rendere pregevole la musica contribuiscono non poco gli interpreti sapientemente chiamati dall’autore: la cantante Maria Pai De Vito, il trombettista Pino Minafra, il sassofonista e clarinettista Gianluigi Trovesi, il chitarrista Tomaso Lama, il contrabbasista Enzo Pietropaoli, il percussionista Fulvio Maras più l’Orchestra d’Archi della SPMT. Bruno Tommaso dà ennesima riprova della sua capacità di essere jazzista europeo, in grado cioè di elaborare la lezione afroamericana insieme ad elementi classici e, come in questo caso, di cultura popolare. Nella sua rilettura trovano posto composizioni di Francesco Durante - “vero capostipite della cultura musicale partenopea” come ha affermato il musicologo Stefano Zenni - , brani celeberrimi quali “Fenesta ca lucive”, “Chiove”, “Anema e core”. Chiude questa carrellata nella napoletaneità sonoro “Pagliaccio”, meglio noto come “Carosello napoletano” in cui l’autore esprime una garbata quanto arguta ironia. Uno plendido ritorno discografico per uno dei miglior jazzisti d’Europa.
Tiziano TONONI & The Society of Freely Sincopated organic pulses - "We did it, We did it! (Rahsaan & the None)" - Splasc(h) Records - World series CDH 811/812/813 - Total time 235'48". Un acuto suono di sirena squarcia le note di Amazing Grace e nel libero, policromo, polifonico fluire della melodia spiritual ci mozza il fiato. Quella sirena evoca immediatamente, e con grande forza, la vibrante materia sonora che Roland Kirk sapeva produrre con i suoi strumenti, spesso in contemporanea e a più livelli. Flauto, sax tenore, manzello, stritch, clarinetto, una tromba con l’imboccatura ad ancia, flauti a naso, corno inglese, fischietti, sirene… La sirena di Amazing Grace rappresenta una metafora assoluta del Rahsaan polistrumentista, uomo-suono, uomo-orchestra, jazzista visionario, alfiere ora gioioso ora dolente comunque indomito e militante della black music. Il brano tradizionale, dopo il prologo free di De-Tuning n.1, ci porta subito al cuore del vasto progetto musicale e discografico di Tiziano Tononi, offrendoci con vivida immediatezza alcune chiavi di lettura. La chitarra elettrica distorta di Roberto Cecchetto, il sax tenore di Daniele Cavallanti e tutto il collettivo riprendono il tema gospel conservandone il nucleo espressivo ma trasfigurandolo e proiettandolo in una versione del tutto diversa, in una dimensione acida ed hendrixiana. Il chitarrista evocato qui tornerà nella VI e conclusiva parte accanto a Stevie Wonder e a Bob Marley, in una Ode to Black Music suggello di un lungo viaggio nella personalità di Kirk e nella sua articolata ed onnivora visione della musica nera. In Amazing Grace si evidenziano subito il legame profondo che il polistrumentista aveva con la tradizione musicale black (era capace di suonare assoli in qualsiasi stile) ma anche la sua visionaria capacità di agire sul presente sonoro, di percepirne ed anticiparne gli umori senza preclusioni stilistiche. We Did It, We Did It! (Rahsaan & The None) è il terzo progetto del batterista/compositore dedicato a musicisti e Kirk viene dopo John Coltrane e Don Cherry, costituendo una triade eccellente, una sorta di sacra trimurti. L’operazione è in sé stessa importante perché, di fatto, dopo la morte del polistrumentista nel 1977 la sua fama e i suoi brani hanno conosciuto un desolante oblio, forse dovuto all’impossibilità di definire la musica di Kirk che è sempre sfuggita alle categorie che governano i meccanismi di promozione. In realtà i motivi di una notorietà controversa anche in vita del jazzman di Columbus sono molteplici, lo rendevano e lo rendono personaggio scomodo, indomabile, fuori dal coro, un artista che colpisce l’emotività degli ascoltatori (e dei critici…) ma li pone bruscamente di fronte a domande brucianti, li costringe a schierarsi. Il fatto è che Kirk ha sempre rivendicato e praticato una musica classica nera che comprendeva tutti i generi della black music; ha usato spesso l’arma dell’ironia e della dissacrazione; è stato un fiero quanto imprevedibile e antidogmatico combattente per la libertà (fondò negli anni Settanta il Jazz and People’s Movement); ha creato una sintassi sonora assolutamente visionaria (onirica, dato che il sogno ha sempre avuto una notevole importanza nella sua vita e da un sogno ha tratto ispirazione per suonare più strumenti in contemporanea). Agendo sulla materia sonora in modo del tutto eversivo, con uso di disparati attrezzi sonori, Kirk ha mandato a rotoli la sacralità del jazzista classico e pur essendo avanguardistico ha sempre esaltato il legame organico con la tradizione, con il senso del blues ed il senso del ritmo. Rashaan, in poche parole, è stato dimenticato perché sfugge agli stereotipi santificatori del genio e del jazzista maledetto quanto incarna alcuni tratti qualificanti della cultura afroamericana che sono destabilizzanti per quella bianco-occidentale, essendo al tempo stesso un fossile sonoro vivente ed un rivoluzionario musicale tradizionale (associabile, per certi versi, ad Albert Ayler), insofferente - peraltro - ai media e alla critica musicale. Per molti fu sempre e solo un uomo dai mille trucchi, uno showman, un fenomeno da baraccone, un cieco poco sano di mente: contro chi la pensava così Kirk si è battuto, con ironia al vetriolo, per tutta la vita. Oggi, dopo quasi un quarto di secolo, Tononi con la sua Society of Freely Syncopated Organic Pulse torna a far vibrare con forza la musica di Rahsaan e lo fa servendosi di una macrostruttura narrativa, di una vasta architettura, di un polittico sonoro amplio che al suo interno ha montaggi che ricordano tecniche cinematografiche e, a volte, il dj scratching. E’ una scelta, quella del compositore-batterista, che tende a dilatare come su uno schermo panoramico ciò che possiamo ritrovare in Roland Kirk in una manciata di minuti, in un suo singolo pezzo o, addirittura, in un frammento. Una scelta per certi versi enfatica, a tratti epica, comunque impegnativa e coraggiosa sul piano progettuale e compositivo. Le sei parti - (Rah)NDOM THOUGHTS; (Rah)THER BLACK & BLUE; AR(rah)IVING SOON; (Rah)’N & ROLL; (Rah)ZZLE - DAZZLE; (Rah)MBLE IN THE JUNGLE - illuminano ciascuna un versante della poetica kirkiana, attraverso un montaggio di suoi brani, di pezzi originali di Tononi e di composizioni di altri jazzisti. In una dimensione che è sempre collettiva e corale, una parte può, ad esempio, lumeggiare la dimensione elettrica di Kirk riproponendo Blacknuss ed evocando Miles Davis, condurre ad una transizione che esalta il versante percussivo (Olù-Batà) e per mezzo di Voluntereed Slavery ci porta ai Mingus e Shepp militanti, difensori delle libertà calpestate nella prigione di Attica. Associazioni sonore ma anche ideologiche creano così dei percorsi, portando su un piano progettuale ed esplicito ciò che in Kirk era spesso presente implicitamente nel sovrapporsi dei suoi livelli di suono, nella caleidoscopica dimensione della sua musica. Sono ben 19 i brani kirkiani riproposti e riarrangiati (da temi conosciuti come The Inflated Tear sino a composizioni meno note come No Tonic Press), selezionati nell’ampia e variegata produzione del musicista di Columbus. Già un’operazione del genere sarebbe stata lodevole ma Tononi ha preferito costruire una forma-suite utilizzando 18 suoi brani ed una sorta di storia del jazz e della musica nera in sedicesimo. Ogni parte comprende, infatti, una rilettura di pezzi legati, in modo diretto o indiretto, alla figura di Kirk e questo repertorio nel repertorio allinea Duke Ellington, Fats Waller, Sidney Bechet, Charles Mingus, Archie Shepp, Thelonious Monk, John Coltrane, Stevie Wonder, Jimi Hendrix e Bob Marley. In questa impresa che ha del titanico e che racchiude vari episodi di grande spessore artistico (penso, tra i molti, alla dilatata versione di The Black & Crazy Blues, alla rilettura di Petit Fleur dominata dal violino struggente di Renato Geremia, alla tononiana 15 Miles/Electric con un luminoso Herb Robertson alla tromba) si rivela fondamentale l’apporto di tutti i musicisti, un vasto collettivo di artisti italiani e stranieri. La ricostruzione a più voci dell’unica e proteiforme (cfr.) voce di Kirk vede in prima linea le ance di Daniele Cavallanti, Achille Succi, Riccardo Luppi (con la presenza in alcuni brani di Gianluigi Trovesi), il polistrumentismo kirkiano di Geremia, gli ottoni di Robertson, Beppe Caruso e Michel Godard, le tastiere di Alberto Tacchini, la preziosa chitarra di Cecchetto, i contrabbassi di Tito Mangialajo e Piero Leveratto, la recitazione di Roberta Parsi e, in particolare, di Victor Beard, le diavolerie elettroniche di Andrea Rainoldi. Del leader parlano direttamente il progetto, la musica, la connettiva e carismatica presenza presenza. Su tutti si staglia e giganteggia la figura di Rahsaan Roland Kirk, un neroamericano non vedente che ha saputo immaginare orizzonti sonori lontani, a tratti ancora irraggiungibili.
Trovesi - Coscia - "In cerca di cibo" - ECM 1703 543 034-2 Mi è capitato già più volte di accennare all’esistenza di una musica “italiana”, sviluppatasi per lo più grazie ad alcuni musicisti con “anima” jazzistica (ma capaci di spaziare attraverso più generi), e giunta recentemente ad avere un numero rilevante di frequentatori, al punto da potere essere considerata una delle correnti principali. E’ una pratica che mira ad inserire la freschezza dell’improvvisazione (non necessariamente ancorata agli stilemi jazzistici) in costruzioni sonore basate su materiali eterogenei: il blues, le suggestioni afroamericane, le tradizioni accademiche, la musica popolare d’ogni tipo. Questa indicazione programmatica, Gianluigi Trovesi l’aveva bene in testa già all’inizio negli anni ’70, e la propose con autorevolezza e pregnanza stilistica fin dal suo primo album come leader (“Baghèt”, del ’78). Poi, nell’abbondante ventennio successivo, il polistrumentista bergamasco ha ulteriormente affinato la sua poetica, dando vita nel 1989 al duo con Gianni Coscia, che dal canto suo frequentava da tempo strade analoghe. Dopo tanti concerti, i due pubblicarono nel ’95 un gioiellino (“Radici”). Oggi, con la “benedizione” di Manfred Eicher, eccoli di nuovo a soffiare e diteggiare la loro musica nuova e antica, che parla al cuore e alla memoria. C’è molto “Pinocchio” di Fiorenzo Carpi (quello realizzato per la RAI da Comencini, con Manfredi e la Lollobrigida), ci sono “El Choclo” di Villoldo e “Il Postino” di Bacalov. Preparatevi ad emozioni dolci e forti…
Gianluigi TROVESI Nonet - "Round About A Midsummer’s Dream" (Enja). 64'. Il Nonetto di Gianluigi Trovesi si è esibito in varie manifestazioni estive (tra cui “Along Come Jazz”) confermando dal vivo il fascino di Round About A Midsummer’s Dream, uno dei più bei repertori uditi da anni. Trovesi si è liberamente ispirato al Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, in particolare al dialogo tra Teseo e Bottom. Ha messo in musica questi ed altri personaggi ideando per Teseo (e la sua corte) un trio barocco (violino, viola e violoncello; Stefano Montanari, Stefania Trovesi, Paolo Ballanti), per Bottom e i suoi compagni artigiani un trio popolare (fisarmonica, contrabbasso, tamburello e voce; Jean-Louis Matinier, Reanud Garcia-Fons, Carlo Rizzo), con il re delle fate Oberon e la sua corte sotto le spoglie del trio contemporaneo (clarinetti e sax alto, chitarra elettrica, batteria e percussioni; Trovesi, Paolo Manzolini, Fulvio Maras). Il Sogno trovesiano si ambienta nel bosco incantato e consente la sovrapposizione, l’incrocio, l’innesto tra musica popolare, barocca e jazz con effetti meravigliosi, ora di intricata polifonia ora di distesa cantabilità. E’ una tematica cara da decenni al polistrumentista e compositore che trova qui una veste ed una dimensione ideali. Centrale nella lunga performance, che si snoda con caratteri marcatamente teatrali e narrativi, l’esecuzione di una danza citata da Shakespeare, la Bergomask (bergamasca), eseguita nella veste originale, che assume via via contorni bluesy e funky. “La danza originaria della mia terra - scrive Trovesi nel libretto allegato al Cd - e la tipologia dei personaggi dell’opera hanno fatto sì che scaturisse l’idea di rappresentarli mediante una formazione atipica, quale il Nonetto, composta da tre Trii con funzioni stilistiche ed emozionali differenti tra loro”. Il Sogno, brioso e ironico, ha tanti finali sonori quante sono le musiche e le loro sovrapposizioni e l’opera rappresenta un vertice del jazz europeo. E’ stata, non a caso, incisa dall’etichetta tedesca Enja in coproduzione con la SWR Jazz-Radaktion di Baden-Baden; la registrazione è stata effettuata dal vivo al “SWR Jazz Session at Tollhaus” a Karlsruhe (Germania) nel luglio 1999.
Glauco Venier Trio - "Un anno" - Equipe EQ00J010 Chissà, forse l’idea è stata che si potesse fare qualcosa di più di qualcun altro in passato… Insomma: dodici mesi saranno pur sempre meglio di quattro sole stagioni! Scherzi a parte, il progetto di misurarsi in qualche modo “impressionisticamente” con l’intera tavolozza annuale suddivisa in dodici parti (anzi quattordici, perché ci sono anche un intro e un finale) è bello, ma anche complesso e rischioso… Anche per questo, probabilmente, il trio guidato dal pianista friulano stavolta si presenta davvero come Trio, dividendo in parti uguali l’onore e l’onere della composizione: quattro mesi a testa, e gli altri due brani firmati collettivamente. Una cosa che prima o poi doveva accadere, visto che Venier, Salvatore Maiore (contrabbasso) e Roberto Dani (batteria e percussioni) vivono in simbiosi sonora da molti anni. L’interplay è di marca superiore, e li fa respirare come un solo organismo, ma particolarissimo, perché padroneggia tastiera, corde, pelli e metalli al tempo stesso…
Back
- Pag.
1
2
3
4