Claudio ANGELERI - "Blue roads" - CDpM Lion 132-2 - 52'43"
Autori Vari - "As Long As You're Living Yours
Pierluigi BALDUCCI Quartethno - "Niebla" (Splasc(h) Records)
Joey BARON - "We’ll soon find out" - Intuition Int 3515-2
Kenny BARRON - "Spirit Song" - Verve 543-180
Stefano BATTAGLIA/Pierre FAVRE - "Omen" - Splasc(H) CDH691.2
George BENSON - "Absolute Benson" - GRP 543 586-2
Big Bandit - "O' sole miope" - Splasc(H) CDH 700
Carla Bley - "4 X 4" - WATT 30 CD 159 457-2
Gary BURTON - "Libertango" - Concord jazz ccd-4887-2
Roberto CAON - "Second change" - Caligola 2031-2
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Claudio ANGELERI - "Blue roads" - CDpM Lion 132-2 - 52'43". Claudio Angeleri è un musicista oramai attivo sulla scena da molti anni che ha però sempre mantenuto una sua linea espressiva, una sua intima coerenza che si evidenzia anche in ogni nuovo lavoro discografico. Ne è l'ennesima conferma questo CD in cui il pianista presenta composizioni eseguite da un medio organico, per pianoforte solo o in duo piano-batteria. Insomma una caleidoscopio di situazioni in cui risalta ancor di più quella coerenza cui prima facevamo riferimento: in ogni caso, infatti, Angeleri si conferma musicista a tutto tondo. Come pianista non è certo una scoperta, ma per chi avesse ancora qualche minimo dubbio lo invitiamo ad ascoltare con attenzione "Percorsi paralleli" in cui Angeleri duetta magnificamente con il batterista Giampiero Prina. Altra conferma dall'Angeleri compositore: ben sette dei dieci brani presenti nel CD sono sue composizioni che dimostrano quanto variegato e composito sia il suo mondo espressivo. Come arrangiatore questa volta c'è una novità: il debutto discografico dell'Orchestra Tascabile, ultimo laboratorio musicale concepito dal pianista e composto da Sergio Orlandi alla tromba, Giulio Visibelli al flauto e sax soprano e tenore, Guido Bombardieri al clarinetto e clarinetto basso, Pierluigi Salvi al trombone, Marco Esposito al contrabbasso e Vittorio Marinoni alla batteria. Ebbene la scrittura per questo particolare organico appare efficace nella misura in cui riesce ad equilibrare senso della composizione e improvvisazione.In quest'ottica da ascoltare con attenzione il brano d'apertura "Trane mambo" e "Tango".
Autori Vari - "As Long As You're Living Yours. The Music of Keith Jarrett" (RcaVictor). 58 minuti. La produzione del pianista americano è talmente variegata e vasta da costituire un autentico repertorio. Risulta, quindi, non forzata né innaturale l'operazione della RcaVictor che ha coinvolto numerosi jazzisti e gruppi (dal nonetto al solo) attorno alla musica di Jarrett (il musicista si esibirà ad Umbria Jazz, in trio con Gary Peacock e Jack DeJohnette, il 15 luglio prossimo). E' d'altronde nella natura del jazz rileggere, interpretare, ricreare i brani di altri autori, magari illuminando aspetti che lo stesso compositore non aveva lumeggiato. Nelle tredici versioni proposte si alternano interpretazioni di differenziato livello e spessore. Tra le più interessanti da segnalare U Dance, eseguita al sax baritono da Jay Rodriguez e da Chucho Valdes al piano, dove l'effervescenza latina del tastierista regala al pezzo un brio inarrestabile. Tendono al camerismo - conservando la ricchezza melodica degli originali - le esecuzioni di Book of Ways n°9 da parte della violinista Nadja Salerno-Sonnenberg, con Bob James al piano, come il Book of Ways n°10 del quartetto d'archi Flux, dai sapori nettamente minimalisti. Mike Mainieri (sovrapponendo vibrafono e marimba) coglie in pieno lo spirito luminescente di Starbright, eguagliato da D.D.Jackson - pianista sempre più quotato che ha iniziato la propria carriera nei gruppi di David Murray - che esalta la drammaticità e passionalità di Everything That Lives Laments. Shades of Jazz trova nel sax tenore di Joe Lovano e nella tromba di Tom Harrell (accompagnati da Dennis Irwin ed Adam Nussbaum) gli interpreti ideali in quanto fervidi improvvisatori come, del resto, il clarinettista Don Byron che insieme al contrabbassista Drew Gress propone una scarnificata ma convincente Somewhere Before. Data per scontata l'unicità del pianista Jarrett, la musica da lui composta appare in grado di muoversi e spiccare il volo anche a prescindere dalla sua figura.
Pierluigi BALDUCCI Quartethno - “Niebla” (Splasc(h) Records). 50'. L’aggettivo etnico si impone fin dal nome del gruppo che, guidato da bassista elettrico, comprende un ispirato Roberto Ottaviano al sax soprano (autore di “Sosta”), l’inventivo Lutte Berg alle chitarre (compositore di “Terra vecchia” e coautore di vari brani) ed il fantasioso Massimo Carrano alle percussioni. Il pregio del Cd è, ad ascolto immediato, la sua sonorità complessiva, questo intrecciarsi di corpose eppure aeree figure di basso, di arpeggi e linee chitarristiche, di percussioni che evocano la ricca tradizione del Mediterraneo, un insieme che reagisce ulteriormente con il sax soprano di Ottaviano, a metà tra John Coltrane e gli strumenti ad ancia della tradizione nordafricana. Non a caso il titolo dell’album rimanda ad una città dell’Andalusia, regione iberica che prende il nome dai Vandali e dove per secoli gli arabi si installarono diffondendo la loro cultura e religione, dalla matematica alla musica, dalla filosofia all’Islam. E’, quindi, un Sud immaginario ma non retorico e artificioso quello che si materializza ascoltancdo il quartethno di Balducci dove riesce quel difficile miracolo di suonare l’oggi collegandosi al passato senza idoleggiarlo o farne una mitologia new-age. Il merito va ai singoli musicisti, alla loro solida conoscenza del jazz (si ascolti l’essenziale versione di “Nardis” di Miles Davis), alle composizioni e alla loro contenuta durata, alla misura con cui si affronta un crocicchio insidioso e pieno di banalità sonore come quello della “musica mediterranea”. Nelle note di copertina Davide Ielmini parla di “surfisti della musica afroamericana” e l’espressione rende bene l’idea di equilibrio, dinamico, di questa musica, sempre sul filo dell’onda ma dotata di una sua solidità.
Joey BARON - "We’ll soon find out" - Intuition Int 3515-2 Il quartetto di “Down Home” (pubblicato dalla Intuition nel ’97) è tornato a riunirsi, per soddisfare chi ha voglia di vibrazioni bluesy e di funky ammiccante e godurioso. Anche in “We’ll Soon Find Out”, per capirci, la batteria di Joey Baron, il contrabbasso di Ron Carter, la chitarra di Bill Frisell e il sax contralto di Arthur Blythe si dedicano a frequentare con pacioso relax i santi crismi del blues e del jazz, come se fossero dei “bravi ragazzi”. Ascoltando i nove brani e guardando le foto del libretto d’accompagnamento sembra quasi di vederli, i quattro lazzaroni (in perfetto equilibrio tra quarantenni e sessantenni, fifty fifty), che si divertono come pazzi. In questo consesso, come già nella precedente occasione, il leader Joey Baron sciorina nove brani (l’intero repertorio è di suo pugno) dove per lo più si “àncora” ai tempi, rinunciando alle “rotture” che lo hanno reso celebre presso altre compagnie (anche con lo stesso Frisell), in questo mandando ovviamente a nozze il contrabbasso educato e infallibile di Ron Carter. Frisell e Blythe, dal canto loro, provvedono a far fluire i fraseggi più limpidi e lirici di cui son capaci, giungendo spesso addirittura a risultar ruffiani come pochi…
Kenny BARRON - "Spirit Song" - Verve 543-180 Non c’è alcun dubbio che Kenny Barron sia oggi uno dei più grandi pianisti jazz per capacità esecutive, sincerità di ispirazione, possibilità interpretative, originalità compositiva. Questo “Spirit Song” ne è l’ennesima conferma, regalandoci un Barron davvero al meglio della condizione, a conferma di un periodo di straordinaria verve creativa che lo accompagna oramai da qualche anno. In effetti, il cinquantaseienne pianista di Philadelphia, organizzando il lavoro per questo suo sesto album Verve, aveva espresso il desiderio di andare oltre quell’immagine di pianista post-bop in cui si sentiva piuttosto stretto. Di qui l’intenzione, espressa a chiare lettere, di concepire dei brani che restassero in qualche modo orientati al be-bop ma in cui la progressione degli accordi si muovesse in modo affatto diverso sì da creare una musica che - aggiungeva Barron- “almeno per me rappresenta una nuova direzione”. E l’obiettivo è stato centrato in pieno: si ascolti, ad esempio, “The Pelican” o il brano che dà il titolo al CD: in entrambi i casi si noterà un’armonizzazione assai particolare che crea un clima inusuale, almeno per il Barron che eravamo abituati ad ammirare. In ogni caso il pianismo di Barron scorre fluido e preciso come sempre evidenziando quella precisione di tocco che costituisce una delle sue doti essenziali. Ma non si immagini una proposizione fredda e distaccata: al contrario, la musica di Barron è sempre portatrice di grandi emozioni in quanto riflette l’animo di un artista quanto mai sensibile alle proprie e alle altrui esigenze espressive. E così l’interplay con i compagni di strada in questo “Spirit Song” è davvero da manuale: dal bassista Rufus Reid al batterista Billy Hart, dal trombettista Eddie Henderson al tenorsassofonista David Sanchez per finire agli ospiti Michael Wall alle conga, Russell Malone alla chitarra e Regina Carter al violino, tutti contribuiscono a creare quel clima di straordinaria creatività, lungi però da inutili sperimentalismi, che fa di questo CD una piccola e rara perla.
Stefano BATTAGLIA/Pierre FAVRE - "Omen" - Splasc(H) CDH691.2 I dischi in duo non sono certo né una novità , né una rarità. Eppure si tratta sempre di una sfida avvincente, una sorta di passeggiata sul filo senza rete in quanto occorre un interplay perfetto per dar luogo ad esibizioni che abbiano un senso. Operazione, in questo caso, perfettamente riuscita anche perché, l'uno di fronte all'altro, stavano due musicisti di sicura statura internazionale: l'uno, Stefano Battaglia, pianista ancor giovane ma già in possesso di una straordinaria maturità, l'altro, Pierre Favre, percussionista tra i più grandi che la storia del jazz europeo possa vantare. Eppure in questo CD è soprattutto la personalità di Battaglia ad essere evidenziata, una personalità che si definisce giorno dopo giorno a tutto tondo, disegnando il profilo di uno straordinario musicista. Come ampiamente dimostrato nei precedenti album sempre per la Splasc(H) , Battaglia si dimostra pianista dai cento volti, perfettamente a suo agio sia nelle strutture aperte in cui le capacità improvvisative diventano indispensabili, sia quando si tratta di affrontare temi più codificati in cui il linguaggio deve necessariamente aprisi maggiormente verso l'esterno. Dal canto suo Favre da un saggio di quel che significa padroneggiare il sound delle percussioni, non solo agevolando in tutto e per tutto il discorso del pianista ma assumendo non di rado il rischio di prendere nelle sue mani il filo del discorso. In un simile contesto difficile segnalare qualche brano in particolare anche se "Danse" ci ha particolarmente impressionati.
George BENSON - "Absolute Benson" - GRP 543 586-2 Molti anni sono trascorsi da quando, negli anni ’60 e ‘70 George Benson deliziava le platee jazzistiche con il suono della sua chitarra tanto originale quanto innovativo, dando vita ad album straordinari come, ad esempio, “Breezin’ “. Oggi le cose sono cambiate e non necessariamente in meglio: intendiamoci, da un punto di vista strettamente tecnico Benson rimane - e non potrebbe essere altrimenti - un grande musicista, un chitarrista che può affrontare qualsiasi difficoltà strumentale senza minimamente scomporsi. E’ la sua musica che, viceversa, sembra oramai lontana dai trascorsi jazzistici per approdare verso lidi edonisticamente più confortanti. Questa sua ultima fatica discografica - “Absolute Benson” - si pone, per così dire, a mezza strada : si fa ascoltare con “piacevolezza” dalla prima all’ultima traccia ma non eccede in concessioni al pop o al R&B come avevamo ascoltato in altri precedenti album. Prova ne sia che, questa volta, i brani cantanti sono solo tre: “Come back baby” portata al successo da Ray Charles, “The ghetto” e “El barrio”; per il resto temi ben costruiti, arrangiamenti accattivanti, il sontuoso bagaglio esecutivo di Benson… Ed è proprio il chitarrista il punto focale di tutte le esecuzioni anche se al suo fianco suonano splendidi musicisti: Christian McBride al basso, Joe Sample (tra i fondatori del mitico gruppo “Crusaders”) al pianoforte e tastiere, Steve Gadd alla batteria più in veste di ospiti il percussionista Luis Conte, l’altro batterista Cindy Blackman e l’organista e tastierista Ricky Peterson. Comunque , maestria esecutiva a parte, emozioni davvero poche a riprova di una sincerità di ispirazione che probabilmente si è persa strada facendo. D’altro canto i dischi sono l’esatto specchio delle esibizioni dal vivo: anche in concerto Benson propone oramai questo tipo di repertorio ottenendo per altro un grande successo di pubblico come dimostra anche la sua ultima tournée. A noi, però, lasciate la nostalgia di una grande chitarrista jazz che vorremmo magari riascoltare in un prossimo album.
Big Bandit - "O' sole miope" - Splasc(H) CDH 700 Giuseppe Emmanuele, un musicista ancora sottovalutato nonostante le ottime prove che continua a fornire. Questo "O' sole miope" è ,infatti, l'ennesima dimostrazione di classe, preparazione, talento del musicista catanese che meriterebbe ben altri riconoscimenti rispetto a quelli già ottenuti. In effetti la poetica di Emmanuele si caratterizza da un lato per la stretta adesione a certi stilemi del jazz che possiamo far risalire al modern mainstream, dall'altro per una concezione strumentale ed orchestrale di sicura originalità che fa perno su una solida conoscenza del repertorio jazzistico nell'accezione più larga del termine e su una facilità di scrittura che non viene mai meno. Anche in questo album , infatti, Emmanuele è l'autore di due pezzi quanto mai raffinati "Ustica" e "Fine stagione". Ma al di là delle sue composizioni, la mano sicura di Emmanuele direttore e arrangiatore si avverte in tutto il CD che è il secondo album della "Big Bandit" orchestra nata oltre dieci anni fa nell'ambito del Como Jazz Club e , che dopo un periodo di crisi, sta tornando agli antichi splendori grazie proprio alla sicura guida di Emmanuele .A questo punto gli appassionati di jazz si saranno fatti un'idea precisa dell'album: un jazz solido, senza sperimentazioni, con un bel gioco sulla dinamica e sulla timbrica e le sezioni che funzionano a meraviglia. Insomma davvero bella musica!
Carla Bley - "4 X 4" - WATT 30 CD 159 457-2 “L’idea era quella di avere una big band all’osso - spiega Carla Bley - Dovevamo perdere 3 trombe, 3 tromboni e 3 ance. Ciò che rimaneva erano i 4 ritmi e 4 fiati. Un’opportunità a Copenhagen consentì di provare la nuova formazione. Funzionò. Chiamai il mio agente e gli dissi di organizzarmi un tour…” Con l’ormai abituale tono ironico e un po’ blasé, la pianista, compositrice, arrangiatrice e bandleader (nata Carla Borg nel ’38 ad Oakland e poi sposa diciannovenne di Paul Bley, dal quale si separò dopo qualche anno) inizia così il suo racconto di com’è nato il gruppo, il tour e quindi questo cd. Tralascio i particolari sulla genesi dei vari brani, ispirati da fanfare da baseball, canti d’uccelli e di ranocchie, vecchi sintetizzatori danneggiati o marce di protesta a Oslo. Il fatto è che l’ottetto (con Carla ci sono Lew Soloff alla tromba, Wolfgang Puschnig all’altosax, Andy Sheppard al tenore, Gary Valente al trombone, Larry Goldings all’organo, Steve Swallow al basso elettrico, Victor Lewis alla batteria) funziona davvero, i pezzi si lasciano ascoltare che è un piacere e l’atmosfera scanzonata risulta vieppiù gradevole. Ci si sollazza alla grande, e addirittura ci si emoziona (ascoltare la conclusiva “Utviklingssang”)…
Gary BURTON - "Libertango" - Concord jazz ccd-4887-2 Tra tributi, ricordi e semplici interpretazioni, la musica di Astor Piazzolla s’è ascoltata in giro per il mondo più dopo la sua scomparsa che prima. Ma nel caso di Gary Burton si deve parlare di interesse davvero non “sospetto”. Il vibrafonista scoprì la leggenda del tango nel ’65 a Buenos Aires e ne divenne immediatamente un fan sfegatato. Una ventina d’anni dopo lo stesso Piazzolla, dopo aver assistito ad un concerto di Burton con Corea a Parigi, propose una collaborazione: i due riuscirono a dare una serie di concerti di gran successo, ma la storia ebbe breve durata, a causa dei problemi di salute dell’argentino, che sarebbe poi scomparso nel ’92. La musica di Piazzolla è però sempre rimasta nel cuore di Burton, e nel ’97 il vibrafonista pubblicò “A Tango Excursion”, dove già figuravano il chitarrista Horacio Malvicino, il violinista Fernando Suarez-Paz, il contrabbassista Héctor Console e il pianista Pablo Ziegler, collaboratori storici di Piazzolla. Qui siamo ad una sorta di 2° capitolo, presenti gli stessi musicisti, più il bandoneonista Marcelo Nisinman, erede riconosciuto di Piazzolla sotto l’aspetto strumentale, e il pianista Nicolas Ledesma. Molti i pezzi arcinoti, come “Libertango”, “Invierno Porteno” e “Adios Nonino”…
Roberto CAON - "Second change" - Caligola 2031-2 Ancora una prima discografica e ancora di provenienza veneta: "Second change" è il primo disco, da leader, del contrabbassista Roberto Caon . Nato a Castelfranco Veneto nel 1961 e diplomatosi in contrabbasso presso il locale conservatorio, prima di giungere a questo suo primo CD , Caon ha lavorato per parecchi anni nell'ambito musicale, non limitandosi al jazz. Di qui una preparazione sia teorica sia conseguita "sul campo" che si avverte immediatamente ad un attento ascolto dell'album. Caon dimostra una completa padronanza strumentale ed ottime capacità di scrittura evidenziate nelle nove composizioni originali che si ascoltano nel disco, unitamente al celebre "Don't get around much anymore" di Duke Ellington. Ottimamente coadiuvato dai suoi compagni d'avventura - Marco Tamburini alla tromba, Pietro Tonolo al sax tenore, Marcello Tonolo al pianoforte e Mauro Beggio alla batteria - Caon è riuscito a ricreare quell'atmosfera hard-bop a cavallo tra gli anni '50 e '60 che evidentemente attira maggiormente la sua attenzione. Di qui un album godibile che senza la pretesa di voler dire alcunché di nuovo, appare tuttavia rileggere con pertinenza e competenza un periodo fondamentale della storia del jazz.
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