Barbara CASINI - Enrico RAVA - "Vento" - Label Bleu Lblc 6623
Sandro CERINO "Vivaldi's Four Seasons" - Agorà Musica 2000 - 75'33"
Eugenio COLOMBO - "Tales of Love and Death", Leo Records CD LR 302
Ravi COLTRANE - "From The Round Box" (RcaVictor/Bmg)
DEVITO - TAYLOR - TOWNER - "Verso" - Provocateur Pvc 1023
David FIUCZYUSKI - "JazzPunk" (Fuze)
Simone GUIDUCCI GRAMELOT ENSEMBLE "Cantador" - CRCD 9721-2
Trilok GURTU - "African fantasy" - Esc Records 03664-2
Alvin Youngblood HART - "Start with the soul" - Hannibal/IRD
Wayne Horvitz - "American bandstand"- Songlines SGL 1528-2
Charlie Hunter - "Charlie Hunter" - Blue Note 7243 5 25450 2 5
Abdullah IBRAHIM - "Cape Town Revisited", Enja TipToe TIP-888 836-2
Abdullah IBRAHIM "Ekapa Lodumo" - Enja Tip Toe TIP 888 840 2 - 71'08"
Abdullah IBRAHIM "African Symphony", Enja Nova ENJ-9410 2, 52'39"
Italian Instabile Orchestra - "LITANIA sibilante" - ENJA EJN-9405 2
Keith JARRETT - "Whisper Not" - ECM 1724/25 - 2 CD
Back
- Pag.
1
2
3
4
Barbara CASINI - Enrico RAVA - "Vento" - Label Bleu Lblc 6623 Fare grande attenzione, perché qui siamo di fronte ad un vero e proprio evento. Se vi attendete l’ennesimo cd di una cantante che interpreta degli standard, sia pure accompagnata da un grande solista, siete completamente fuori strada. Qui c’è molto, molto di più: una collaborazione profonda e impegnativa, che ha dato frutti straordinari. Rava e la Casini hanno messo insieme una sorta di all-star, dove i giovani Mauro Negri (clarinetto) e Stefano Bollani (pianoforte) si sposano magnificamente coi “vecchi” Giovanni Tommaso (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria) e con un chiaroscurato ensemble cameristico di diciotto elementi (gli arrangiamenti sono di Paolo Silvestri). La selezione comprende dodici “canzoni”, per lo più firmate dai due co-leader; due titoli sono di Bollani, che in un’occasione ha collaborato con il cantautore Massimo Altomare e il poeta Fosco Maraini, mentre il finale è riservato ad una fulminea interpretazione della classica “Early Autumn” di Woody Herman. La Casini, che ha lungamente frequentato il Brasile e la sua musica, ha perfezionato uno stile peculiare, dai colori profondi e ricchi di sfumature, raffinato ma mai leccato, deliziosamente relaxed ma innervato da guizzi dinamici. Rava e gli altri sono semplicemente perfetti…
Eugenio COLOMBO - "Tales of Love and Death", Leo Records CD LR 302, 67'38". Tra il Mediterraneo greco di Ulisse ed il libro apocrifo di Giuditta - incluso nel Vecchio Testamento ma escluso dalla Bibbia ebraica - i riferimenti del polistrumentista e compositore Eugenio Colombo sono veramente ampli. Inedito è anche l’organico che utilizza. Da un lato tre cantanti di impostazione classica (Micaela Carosi, mezzosoprano; Masha Carrera soprano leggero; Elisabetta Scatarzi, soprano); dall’altro un quartetto jazz dal lessico amplissimo, capace di oscillare dalla musica contemporanea a quella etnica con identica e stupefacente pertinenza. Colombo (sax soprano ed alto, flauto e flauto basso) ha chiamato al suo fianco il pianista Gianni Lenoci, il contrabbassista Bruno Tommaso e il batterista Ettore Fioravanti, artisti di primo piano nel jazz italiano ed europeo. Il leader in “Toxon” e “Giuditta” - le due suite - dispiega eccellenti capacità di compositore e arrangiatore, sia perché coniuga linguaggi diversi sia perché incanstona la partitura su un testo scritto. Il grado di integrazione tra scrittura ed improvvisazione risulta, quindi, elevato come il controllo di Colombo su tutta l’operazione che è sofisticata ma mai astrusa, godibile a livello sonono anche senza coglierne tutte le molteplici implicazioni. Seguendo il risonante arco vendicatore di Ulisse (l’arco è uno dei primi strumenti musicali umani…) e la novella teologico-patriottica di Giuditta c’è molto da viaggiare in un passato fitto di archetipi (musicali e non) che sono profondamente inseriti nella nostra cultura mediterranea.
Sandro CERINO "Vivaldi's Four Seasons" - Agorà Musica 2000 - 75'33" Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, si moltiplicano gli album di jazzisti dedicati ai grandi compositori "colti" . A cimentarsi in questa difficile impresa è ora il sassofonista Sandro Cerino a capo di una big band in cui figurano nomi di grosso rilievo come il trombettista Alberto Mandarini, il trombonista Rudi Migliardi e il sassofonista Giulio Visibelli con in più un'eccellente sezione ritmica costituita da Arrigo Cappelletti al pianoforte, Riccardo Fioravanti al basso e Giampiero Prina alla batteria. Cerino , non lo scopriamo certo adesso, è musicista dotato di intelligenza, spirito di osservazione, una buona dose di ironia e soprattutto tanta, tanta curiosità che lo spinge ad esplorare terreni non sempre facilissimi. E come potete ben capire cercare di leggere in chiave jazzistica un'opera come "Le quattro stagioni" di Vivaldi non è certo compito semplice sia per la qualità intrinseca dell'opera sia per il fatto che bene o male tutti conosciamo le immortali melodie vivaldiane per cui è difficile accettare qualcosa che si discosti dall'originale . Eppure l'operazione, se si escludono alcune ingenuità, è ben riuscita e merita di essere considerata con attenzione . Cerino e compagni dimostrano innanzitutto di conoscere assai bene la materia che hanno deciso di trattare e la rilettura da essi operata si colloca argutamente al di fuori di una qualsivoglia tentativo di arrangiamento sic et simpliciter. In altri termini le partiture di Vivaldi vengono prima interiorizzate e poi riesposte in piena libertà allontanandosi volutamente dal modello originario ; di qui alcune scelte sicuramente coraggiose in maniera sia di timbrica sia di dinamica ottimamente sostenute da un organico, come accennavamo, di tutto rispetto. G.G.
Ravi COLTRANE - "From The Round Box" (RcaVictor/Bmg). 56'. E’ un album intimista, dai toni sfumati, carico di una tensione che resta sospesa ed irrisolta questo del sassofonista Ravi Coltrane, figlio di John, apprezzato per le sue collaborazioni con i gruppi di Steve Coleman. Il secondo titolo, “The Chartreuse Mean”, con il suo fluire liquido, il tempo non scandito e i ruoli liberi degli strumenti appare frutto di un free interiorizzato, rarefatto, astrattizzato di profonda bellezza e suggestione. Si avverte distintamente la presenza - a livello sia compositivo (“Social Drones”, “Irony”) che solistico - del trombettista Ralph Alessi, altro ‘colemaniano’ che ha una scrittura complessa ed una presenza strumentale aliena da stereotipi e muscolarismi hard-bop. Ravi Coltrane ha chiamato attorno a sé per le registrazioni musicisti di valore ed in sintonia con la sua poetica, a partire dalla maiuscola pianista Geri Allen (rimpiazzata da Andy Milne in un solo titolo) proseguendo con il contrabbassista James Genus ed il batterista Eric Harland. Un quintetto - formazione ‘classica’ - in cui il leader alterna il soprano ed il tenore che, oltre ai pezzi originali, si avventura nel repertorio di Thelonious Monk, Ornette Coleman e Wayne Shorter. “Monk’s Mood” si dilata, senza sfilacciarsi, nell’esposizione per sax tenore che ne cesella la melodia; “The Blessing” esalta un’energia nervosa; “Blues à la carte” si confronta con l’eleganza della scrittura di Shorter e l’emotività del blues. I due ultimi titoli confermano la ricchezza e complessità dell’universo sonoro del sassofonista. Mentre in Consequence siamo nell’ambito della ballad, in Between Lines il dialogo fitto ed intrecciato tra tromba, sax tenore e piano evidenzia un jazz che non ha bisogno di sezione ritmica per esprimere un impulso poliritmico e polifonico che coniuga la ricchezza del primo free con la maturità della musica di Steve Coleman. Ad essa Ravi Coltrane ha saputo, con la modestia di chi vale, contribuire nel tempo fino a maturare progetti personali.
DEVITO - TAYLOR - TOWNER - "Verso" - Provocateur Pvc 1023 Nel ristretto gruppo di artisti promossi dalla label britannica Provocateur (che ha intenzione di proseguire puntando sul “pochi ma buoni”), con netta predominanza inglese c’è anche la “nostra” Maria Pia De Vito, già protagonista in alcuni titoli della big band guidata da Colin Towns, patron dell’etichetta. Stavolta la cantante ha modo di spiccare in modo ancora maggiore, stagliandosi autorevolmente sulla tavolozza “minimale”, ma a suo modo ricchissima, composta dal pianoforte dell’inglese John Taylor e dalle chitarre dello statunitense Ralph Towner. Il trio, estensione del già esistente duo Taylor/De Vito, si fa apprezzare per l’eleganza e la fluidità degli scambi “strumentali” (ovvero quando la De Vito vocalizza, wordless), ma risplende di luce autenticamente propria quando la voce della cantante intona struggenti testi in dialetto partenopeo, introducendo stimolanti contrasti con l’impianto inevitabilmente cameristico della formazione. Le due situazioni si dividono al 50% il repertorio, movimentando felicemente l’ascolto…
David FIUCZYUSKI - "JazzPunk" (Fuze). 47'. E’ indipendente fino al midollo questa produzione del chitarrista, compositore e didatta americano: sua l’etichetta, riferimenti al sito autogestito (www.torsos.com) e distribuzione militante, anche se qualche importatore può avere disponibilità del Cd. Fiuczynski ha avuto esperienze con musicisti importanti sulla scena americana non mainstream: Black Rock Coalition e Vernon Reid, George Russell, Ronald Shannon Jackson, Jazz Passengers, Muhal Richard Abrams. In “JazzPunk” si circonda di vari trii, uno base (Fima Ephron, basso elettrico; Gene Lake, batteria; Daniel Sadownick, percussioni) più alcuni ospiti (il violoncellista Rufus Cappadocia; i contrabbassisti Tim Lefebvre e Santi Debriano, i batteristi Zach Danaiger e Billy Hart) per incidere quelli che ritiene gli “standard per il 2000”. Si tratta di brani di Pat Metheny, Jimi Hendrix, Shannon Jackson, Russell, Chick Corea e Jack Walrath, partendo dalla contemporaneità, e, recuperando, di “Star Crossed Lovers” di Billy Strayhorn e Duke Ellington, di una marcia di John Philip Sousa e di un preludio di Chopin. Un solo originale (“Jungle Gyni Jani” che è un’improvvisazione per trio). Unifica, e diversifica, materiali così diversi uno stile chitarristico che ingloba direttamente nel suono - dalla mobilità e mutabilità prodigiose - musica araba, blues, rock, funk, jazz, punk e free. ‘Fuze’ usa una chitarra a doppio manico di sua invenzione con una tastiera ‘fretless’ che consente di suonare intervalli microtonali ed una normale applicando allo strumento un’amplia serie di distorsori, in una sorta di incrocio riuscito tra un oud arabo e la Fender di Hendrix. Sonorità, quindi, elettriche in un contesto che rimanda al trio rock (chitarra, basso, batteria) ma si amplia a tanti linguaggi. Tra i brani migliori “Red Warrior” del batterista free-funk Ronald Shannon Jackson e “African Game Fragment” di George Russell, tratto da una suite di ampio respiro sonoro e valenza culturale, dato che il compositore sposava la tesi dell’origine africana della razza umana, ancora contestata negli anni Ottanta al tempo della composizione. David Fiuczynski è artista da vigilare attentamente per la sua dissacrante originalità e per la capacità di elaborare, senza manierismi, una svolta elettrica da tanti rimossa con superficialità (si ascolti la sua versione de”La Fiesta” di Corea).
Simone GUIDUCCI GRAMELOT ENSEMBLE "Cantador" - CRCD 9721-2 Sono ormai molti i musicisti italiani di formazione jazzistica dediti alla ricerca di percorsi sonori che uniscano l’improvvisazione al recupero di materiali “nostrani”. Tra gli esponenti più felici di tale ricerca, il trentottenne chitarrista torinese (ma mantovano d’adozione) Simone Guiducci ha negli anni sempre più affinato la sua proposta, dedicandogli soprattutto l’attività del gruppo Gramelot, tutto acustico, anche se la sua poetica ne è fortemente connotata anche in altri contesti. Il Gramelot Ensemble attualmente vede accanto alla sua chitarra acustica la fisarmonica di Fausto Beccalossi, i clarinetti di Achille Succi, il contrabbasso e il violoncello di Salvatore Majore, la batteria e le percussioni di Roberto Dani. Le sette composizioni, tutte di Guiducci, alla qualità immaginosa dei titoli (“Cantador”, “L’alba del bambino”, “Il fiume di pastasciutta”, “Al Saltafòs”) collegano architetture musicali di notevole suggestione. Ferma restando un’ispirazione deliziosamente campagnard, le atmosfere cambiano e sfumano, dal canto sognante al tratteggio arguto, dall’affresco introspettivo alla danza colorita.
Trilok GURTU - "African fantasy" - Esc Records 03664-2 La faccia da sardonico scugnizzo indiano di Trilok Gurtu compare all’interno della copertina di questo cd, dove il percussionista è magistralmente “catturato” dall’obbiettivo di Guido Harari. Nei dieci brani in programma (cinquantun minuti abbondanti di suoni incisi a 96BPS, pronti per il DVD) accade quello che tutto sommato ci si attende, conoscendo l’acume di Gurtu e avendo fatto tesoro dell’intestazione: una coloratissima “African Fantasy” orchestrata da un tipo di Bombay che ha bazzicato gente come Don Cherry, Zawinul, McLaughlin, Garbarek, gli Embryo e gli Oregon. Voci (c’è anche Angelique Kidjo) e strumenti africani s’intrecciano con le suggestioni indiane, le speziature rock e una fluidità para-jazzistica. Il pulsare funk dei bassi elettrici e le pennellate dei synth si mescolano con tabla e sfrangi, sitar e didjeridoo, harmonium e gimbri. E’ vero: di cose così oggigiorno capita di ascoltarne parecchie, con frequenti sforamenti nella paccottiglia. Ma qui siamo su tutt’altro piano…
Alvin Youngblood HART - "Start with the soul" - Hannibal/IRD Dopo più di venti anni di carriera, Alvin mantiene l’entusiasmo dei primi giorni, un entusiasmo sicuramente genuino che contagia chi l’ascolta sia dal vivo sia su disco. Quest’ultimo “Start with the Soul” non sfugge alla regola: il chitarrista ci offre la sua solita musica spaziando con energia e bravura dal soul al rock ( “Fightin’ hard” il brano che apre il CD ), dal country al R&B ( “Treat her like a Lady” ) …al groove (“ Porch Monkey’s Theme”) in una galleria di stili e tendenze che lungi dall’apparire una caotica accozzaglia, evidenzia invece l’eclettismo di un personaggio che continua a focalizzare l’attenzione dei critici americani uno dei quali l’ha descritto come una sorta di punto di congiunzione tra Lead Belly e Frank Zappa. Il fatto è che effettivamente Alvin Hart contiene nel suo stile molto del blues più arcaico ma anche espliciti riferimenti al geniale Zappa di cui dimostra di aver bene appreso la lezione. Per questa sua ultima fatica discografica, Alvin ha chiamato a sé un gruppo di musicisti soprattutto di Memphis: in particolare basso e batteria sono affidati alternativamente a Bill MacBeath e Daren Dortin o a Larry Fulcher (già bassista di Taj Mahal) e a Frosty Smith (già batterista di Lee Michaels). A loro si aggiungono il sassofonista Jim Spake, il trombettista Scott Thompson, la splendida voce di Susan Marshall, quella del gospel singer Jackie Johnson e il tastierista East Memphis Slim che contribuiscono in modo non secondario alla buona riuscita del CD. Fra i tredici brani contenuti nell’album, particolarmente stimolanti sono “ Porch Monkey’s Theme” in versione strumentale con in primo piano la straordinaria chitarra di Alvin , “Back to Memphis” dedicato a Chuck Berry (uno dei più grandi esponenti del rock nero) e il brano che chiude la selezione - “Will I ever get back home?” -una vecchia composizione degli anni ’30 di Joe McCoy riattualizzata e rivitalizzata con energia da Alvin Hart.
Wayne Horvitz - "American bandstand"- Songlines SGL 1528 -2 Wayne Horvitz si e ci “concede” un intero cd consacrato al pianoforte, senza tastiere né manipolazioni elettroniche, ed è una splendida occasione per ri-conoscerlo meglio anche sotto questo aspetto (ricordiamo ottime prove negli anni ’80, soprattutto con il Sonny Clark Memorial Quartet). Dal vivo abbiamo potuto apprezzarlo in una memorabile serata romana (17 luglio, a Villa Ada) con la band “Bump The Renaissance” guidata da Bobby Previte, ove ha dato prova del suo stile imprevedibile ed enciclopedico. In questo cd registrato in studio a Seattle nel luglio ’99 se ne ha luminosa conferma, con utile estensione all’aspetto compositivo. Alle prove elettriche ed elettrizzanti, in qualche modo “solari” del gruppo Zony Mash, Horvitz aggiunge ora un’altra faccia: altrettanto intensa, ma più riflessiva e chiaroscurata. I musicisti son gli stessi, ma Keith Lowe è al contrabbasso, Timothy Young accarezza la sua seicorde con prevalente delicatezza e il batterista Andy Roth si comporta di conseguenza. Undici i titoli, tutti molto suggestivi e profondamente radicati nella tipica vena epica e declamatoria di Wayne…
Charlie Hunter - "Charlie Hunter" - Blue Note 7243 5 25450 2 5 Non sarà quel genio che in molti avevano additato qualche tempo fa, Charlie Hunter. Ma certamente ha un paio di ottime frecce al suo arco. Prima: la sua chitarra a otto corde ove dipana simultaneamente linee di basso e squisitezze ritmico-armoniche. Seconda: una buona capacità progettuale e la voglia di cercare sempre qualcosa di nuovo. In questo caso il giovane chitarrista ha optato per una sorta di “espansione” della già proficua collaborazione con il batterista e percussionista Leon Parker, che aveva dato vita l’anno scorso all’album “Duo”. Qui ci sono tre nuovi brani suonati in coppia (“Al Green”, che esprime nel titolo l’omaggio al grande cantante soul, la monkiana “Epistrophy” e “Dersu (A Slight Return)”, basata su un gradevole groove). Detto che il cd si chiude con un suggestivo solo sulle note di “Someday We’ll All Be Free” (brano legato al repertorio di Donny Hathaway, altro grande della soul music), la citata estensione riguarda i rimanenti cinque brani, che assortiscono variamente i due percussionisti Stephen Chopek e Robert Perkins, arrangiati da Parker, con i fiati di Peter Apfelbaum (sax tenore) e Josh Roseman (trombone).
Abdullah IBRAHIM - "Cape Town Revisited", Enja TipToe TIP-888 836 2, 58'30". Tredici dicembre 1997, il Sudafrica accoglie in modo trionfale uno dei suoi più famosi esuli, il pianista partito con il nome di Johannes ‘Dollar’ Brand e tornato con quello musulmano di Abdullah Ibrahim, dopo un lungo peregrinare tra Europa e Stati Uniti. Allo “Spier Estate” di Cape Town Ibrahim suona per il suo popolo con Feya Faku alla tromba, Marcus McLaurine al contrabbasso e George Gray alla batteria. A dire il vero è dal settembre del ’90 che il pianista - seguendo i principi del boicottaggio selettivo stabiliti dall’African National Congress - ha ripreso a suonare in Sudafrica, oggi definitivamente libero dallo spettro sanguinario dell’apatheid. “Cape Town Revisited” si unisce, così, a “Mantra Mode” (1991), “Desert Flower” (1992) e “Knysna Blue” (1993). Registrato dal vivo, l’album ha un ispirato calore ed una studiata semplicità. Ibrahim propone, con il suo piano innodico ed orchestrale, brani famosi del suo repertorio ed una piccola suite. Ecco allora le sue ammalianti ballad “Song for Sathima”, “The Wedding”, “Barakaat (The Blessing)”, la cantilenante “Tintinyana”, l’inno di battaglia “Soweto”, il fiero “Water From An Ancient Wall”. “Cape Town to Congo Square” si propone di tracciare in tre movimenti quell’itinerario tra Africa ed America che fu compiuto dagli africani schiavi i quali portarono con sé una musica che ha conquistato il mondo.
Abdullah IBRAHIM "Ekapa Lodumo" - Enja Tip Toe TIP 888 840 2 - 71'08" Abdullah IBRAHIM "African Symphony", Enja Nova ENJ-9410 2, 52'39" Il pianista sudafricano approdò in Europa nel '63, fuggendo dall'apartheid. Ha sempre combattuto, con svariati ritorni in patria, i governi razzisti di Pretoria, trovando nel Vecchio Continente e negli Stati Uniti asilo politico ed attenzione per la sua musica. Oggi che l'apartheid è finito, Abdullah Ibrahim divide la sua esistenza tra Città del Capo, New York e l'Europa, soprattutto la Germania. Risale addirittura al 1968 il rapporto tra l'artista sudafricano e la NDR Big Band di Amburgo, una formazione orchestrale tedesca che è nata nel 1945 e che ha ospitato Dusko Goykovich, Dexter Gordon, Slide Hampton ed Horace Parlan. Consolidatasi nel tempo, la collaborazione ha visto varie episodi come la produzione di "An Evening for a Friend" (1985) dedicata a Nelson Mandela, più altri tre concerti tra il 1989 ed oggi. Questo Cd è stato registrato dal vivo il 24 giugno del 2000 al "Jazz Open Air am Rothenbaum" di Amburgo, con sette composizioni di Ibrahim arrangiate dall'inglese Steve Gray e dall'austriaco Fritz Pauer. I contorni della produzione dimostrano da soli l'impatto e l'importanza che ebbe il jazz del pianista sudafricano sulla scena continentale, il coinvolgimento di altri artisti europei, il segno impresso da una musica intensa e libera. In "Epaka Lodumo" Abdullah Ibrahim è posto al centro della scena e la NDR Big Band amplifica, dilata, spazia la sua musica, le dona una dimensione orchestrale. In questa operazione si attenua la componente ritmica e si accentua quella lirico-melodica; lo stesso Ibrahim mette la sordina ai suoi lunghi soli ipnotici, si fa ermetico, parco, asciutto. Il tutto assume i contorni di una celebrazione non retorica e la musica del pianista - di per sé tendente, dopo i furori giovanili, verso una sorta di classicità - si fa più contenuta, pensata. L'orchestra, però, è interna alla poetica del sudafricano e lo dimostrano non solo i calibrati arrangiamenti ma anche gli interventi solistici di Ingold Burkardt, Reiner Winterschladen e Claus Stötter (trombe), Joe Gallardo e Michael Danner (trombone), Fiete Felsch (guizzante flauto in "Kramat"), Peter Bolte (sax alto), Lutz Büchner e Frank Delle (sax tenore), Lucas Lindholm (contrabbasso). Se "Mindif" è giocata su rarefatte atmosfere meditative (con una lunga introduzione pianistica), "Black and Brown Cherries" vibra del ritmo festoso della kwela, con i motivi che rimbalzano tra piano e sezioni orchestrali. "Pule" rende omaggio alla natura rigogliosa e coloratissima del Sudafrica, la stessa vivacità che ritroviamo in un giubilante "African Market". Chiude l'album un omaggio ad Ellington, "Duke 88"; Ibrahim, che ha suonato anche nell'orchestra ellingtoniana, fu scoperto proprio dal bandleader afroamericano in un club svizzero, nei primi tempi del suo doloroso esilio. Immersa in un'orchestra classica - come la Munich Radio Symphony diretta da Barbara Yahr, con gli arrangiamenti di Daniel Schnyder - la musica di Abdullah Ibrahim perde, invece, gran parte delle sue caratteristiche. Nel Cd "African Symphony", in realtà, ci sono due parti distinte: "Ritus" composto da Schnyder ed eseguito dall'Absolute Ensemble, che rientra nel vasto novero della musica contemporanea. Di seguito ci sono dieci brani del pianista sudafricano, eseguiti dalla formazione sinfonica e dal trio con Marcus McLaurine (contrabbasso) e George Gray (batteria). Il risultato è francamente deludente e non si crea una vera interazione tra le due componenti: come nel precedente Cd la musica di Abdullah Ibrahim viene dilatata ma qui si arriva all'ipertrofia e, in qualche caso, ad uno snaturamento. "Tintiyana", ad esempio, è un pallido fantasma, rispetto ad altre esecuzioni, mentre la commovente "The Wedding" assume qui dei tratti languidi ed un po' falsi. Quando resta da solo o con il trio Ibrahim fa ancora venire i brividi ma questo non vuol dire che la sua musica sia confinabile in un organico ridotto, piuttosto che non è facile darle una dimensione orchestrale senza conoscerla davvero in profondità. (Luigi Onori)
Italian Instabile Orchestra - "LITANIA sibilante" - ENJA EJN-9405 2 La seconda incisione in studio della Italian Instabile Orchestra, a quasi sei anni di distanza dalla precedente, ci arriva ancora una volta da un’etichetta tedesca: “Skies Of Europe”, pubblicato dalla ECM, fu registrato a Firenze nel maggio ’94. Per fortuna, stavolta c’è stato però l’intervento decisivo della RAI (Radiotre Suite Jazz, produttore esecutivo il “solito” Pino Saulo, al quale bisognerebbe fare un monumento per l’impegno, la competenza e la passione che tanto aiuto danno al bistrattato mondo del jazz italiano), che sfuma d’abbondanti pennellate tricolori l’impresa. “Skies Of Europe” era incentrato sull’estesa (36’), omonima suite di Giorgio Gaslini e su “Il maestro muratore” di Bruno Tommaso, quasi altrettanto “ingombrante” (26’). Composizioni di eccezionale spessore, che offrivano sicuramente un’illustrazione ampia e articolata dell’orchestra, ma un po’ manchevole in alcune “voci” a favore di un’immagine più controllata ed “europea”. Da allora molte cose son cambiate. Proprio Gaslini e Tommaso, ad esempio, non sono più componenti dell’orchestra: al pianoforte siede Umberto Petrin e il contrabbasso è appannaggio di Giovanni Maier. Il materiale del cd in esame, registrato a Roma nel marzo di quest’anno comprende “Scarlattina” di Trovesi e “Litania Sibilante” di Schiaffini in versioni complete e più “intellegibili” rispetto a quelle contenute nel cd della Leo, le inedite “Sequenze fughe” di Damiani e “M42” di Mandarini, “Lover Man” arrangiata da Schiaffini e consegnata soprattutto all’alto struggente di Schiano, la conclusiva “Herr Fantozzi” di Minafra, movimentatissima rielaborazione del noto “Fantozzi bis” con un vorticoso solo di Salis alla fisarmonica. Un’ora abbondante di musica, che dipinge un’Instabile meno educata rispetto ai “Cieli d’Europa”. Ma di certo più vera.
Keith JARRETT - "Whisper Not" - ECM 1724/25 - 2 CD 1:53:10 L'attesa è stata lunga ma ne è valsa la pena: il nuovo doppio "Whisper Not" registrato dal vivo il 5 luglio del 1999 al Palazzo dei Congressi di Parigi segna il definitivo ritorno sulla scena di uno dei più grandi pianisti del jazz che aveva tenuto in apprensione tutti gli appassionati. In effetti quella di Keith Jarrett è una presenza fondamentale nel mondo jazzistico di oggi, una presenza che sotto certi aspetti collega il passato al futuro all'insegna di un pianismo che non conosce epoca. Questa straordinaria caratteristica del musicista di Allentown viene ulteriormente confermata da "Whisper Not" in cui Jarrett si esibisce con il suo trio completato da Gary Peacock al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria. In programma quattordici brani tratti dal più classico dei repertori jazzistici tra gli anni '30 e '50. Il trio li affronta con la solita classe non limitandosi a interpretarli ma rivisitandoli dall'interno, estrinsecandone ogni minuziosa piega melodico-ritmica dimostrando, se pur ce ne fosse ulteriore bisogno, di come tutto sommato il tema nel jazz sia poco più di un pretesto: l'importante è l'esecuzione, il modo in cui si affronta il materiale. E in questo senso la performance di Jarrett e compagni risulta davvero magistrale: dai powelliani "Bouncing with Buddy" e "Hallucinations" agli ellingtoniani "Chelsea Bridge" e "Prelude to a kiss"... al gillespiano "Groovin' high" è tutto un susseguirsi di raffinatezze che riguardano ora l'organizzazione del gruppo, ora il perfetto equilibrio del suono, ora quell'ineguagliabile tocco che ha reso giustamente celebre Jarrett anche presso il pubblico della musica tout-court senza etichette. Insomma l'ennesimo capolavoro di un grande musicista che merita di essere ascoltato con la massima attenzione dalla prima all'ultima traccia.
Back
- Pag.
1
2
3
4